di Gennaro Farinaro

Cappella di San Michele a Cave di Conca della Campania
Cappella di San Michele a Cave di Conca della Campania (Foto Salvatore Imbriglio)

Una piccola gemma perduta

La cappella dedicata a San Michele, nel territorio di Conca della Campania, sorgeva a margine dell’eponimo abitato. Oggi quasi più nessuno fa distinzione fra questo piccolo e compatto nucleo di abitazioni e quello poco distante di Cave, la cui espansione ha finito quasi per inglobarlo, annullando una separazione rimasta meglio evidente fino ad un secolo fa.

Purtroppo della cappella sopravvivono pochi miseri resti, riferibili alla parete di fondo della costruzione. Un lacerto murario, alto mediamente poco più di un metro, composto da bozze di tufo locale, sul quale ancora si rinvengono tracce dell’intonaco interno deve, infatti, essere riferito a quella parte della costruzione (1).

Quello che della cappella restava in piedi fu abbattuto a seguito degli eventi sismici del 1980 e 1984. Una scelta con la quale il territorio di Conca della Campania, al pari di quelli limitrofi, fu privato di importanti testimonianze storico-architettoniche che, nonostante i gravi danni riportati, sarebbe stato invece opportuno recuperare, per quanto possibile, benché questo comportasse maggiori sforzi ed oneri (2).

La storia della cappella di San Michele

Di questo piccolo edificio di culto sappiamo molto poco e possiamo tentare, almeno in parte, di ricostruirne la storia e i caratteri costruttivi con l’ausilio di pochissimi documenti utili.

Spesso la sua storia viene confusa o sovrapposta a quella della chiesa di Sant’Antonio Abate, ubicata a monte del borgo di Cave. Una prima indagine utile a sciogliere ogni residuo dubbio in merito, può tuttavia essere compiuta anzitutto con l’ausilio della cartografia storica.

La nota Carta della Diocesi di Teano, risalente al 1635 (3) non riveste purtroppo utilità per la presente indagine poiché il centro di Cave non vi risulta riportato, a differenza di quello vicino di Catailli (4). Questo non significa che a quella data il borgo non esistesse. Come già evidenziato in altre occasioni, la Carta per motivi di sintesi grafica riporta un certo numero di casali ed agglomerati urbani, tralasciando necessariamente molti altri, di minore consistenza. E’ probabile che a quella data il nucleo di Cave risultasse ancora di modeste dimensioni, in virtù anche della netta distinzione da quello prossimo di San Michele. Gli esecutori della Carta, pertanto, preferirono riportarvi quello non lontano di Catailli, in virtù, evidentemente, di una consistenza maggiore e ormai consolidata, come provato anche dalle numerose cartografie storiche realizzate a scala maggiore, in cui fu operata la medesima scelta (5).

Ad avvalorare questa tesi, del resto, contribuisce, come già accennato, la distinzione piuttosto marcata fra i centri di Cave e San Michele ancora evidente nella cartografia ottocentesca.

La cappella di San Michele nelle carte topografiche

Dalle preziose Tavolette levate al 20.000 redatte dal Regio Officio Topografico Napoletano in epoca preunitaria, negli anni 1834-1860, possiamo desumere anche la precisa collocazione e consistenza della cappella (6), puntualmente riportata, potendone cogliere immediatamente la stretta relazione rispetto all’eponimo nucleo abitato. Da questa cartografia si evidenzia come, a differenza di molti altri contesti dell’areale del Roccamonfina, la viabilità postunitaria (7) non abbia mutato profondamente l’assetto d’origine medievale, che è stato invece sostanzialmente rimarcato dalla più moderna rotabile (8).

Stralcio Tavoletta Regio Officio Topografico R. 1:20.000, 1834-1860
1 – Stralcio Tavoletta Regio Officio Topografico R. 1:20.000, 1834-1860 Rielab. dell’Autore
Stralcio Tavoletta r:1:25.000 - IGM 161 III - SO, Mignano Monte Lungo, 1960
2 – Stralcio Tavoletta r:1:25.000 – IGM 161 III – SO, Mignano Monte Lungo, 1960

L’abitato di Cave, prima degli sviluppi contemporanei, iniziava solo in corrispondenza del bivio che conduceva al distinto nucleo di San Michele (Fig.1 e 2), lasciando più a monte la chiesa di Sant’Antonio (S. Antuono, in mappa) in posizione isolata, affiancata unicamente dalla casa colonica ancora oggi visibile. Quest’ultima si vuole edificata dalla famiglia Bartoli intorno al 1880 (9), ma dal momento che la suddetta cartografia, conclusa nel 1860, la riporta puntualmente, bisogna ipotizzarne una retro-datazione, oppure che l’edificio oggi in piedi sia il frutto di una importante ristrutturazione, operata con accenti eclettici.

La posizione della cappella rispetto ai nuclei abitati ed alla viabilità, resta pertanto quella ancora oggi intuibile, senza variazioni sostanziali e pertanto conoscendone la posizione e l’orientamento è facile comprenderne il ruolo di cardine urbano nel contesto in cui risultava inserita. Il suo fronte d’ingresso, infatti, si stagliava proprio in asse con la viabilità, fortemente scoscesa, che dipanava dalle prime abitazioni di Cave e la costruzione finiva per porsi come baluardo per il piccolo e retrostante nucleo abitato.

I riscontri documentali

I documenti utili alla ricostruzione della storia della cappella, come ricordato, sono davvero esigui (comprendendo un paio di preziosi scatti fotografici. Fig. 3 e 4) e nulla di certo sappiamo circa le origini della piccola costruzione.

Foto della cappella di San Michele
3 – Cappella di San Michele (Foto Salvatore Imbriglio)
Foto della cappella di San Michele
4 – Cappella di San Michele (Foto Salvatore Imbriglio)

Il presente contributo, dopo una attenta ricerca compiuta presso l’Archivio Diocesano di Teano-Calvi e disponendo di alcuni documenti provenienti dalle biblioteche vaticane (10), appare in grado di fornire qualche tassello utile alla composizione di un mosaico estremamente lacunoso.

Nella documentazione che è stato possibile compulsare un possibile riferimento a una chiesa dedicata a S. Angelo e, quindi, a S. Michele Arcangelo, ubicata nella Diocesi di Teano, entro il dominio territoriale del Castello di Conca, compare in due documenti del XIII secolo.

Nelle Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII-XIV relative alla Campania, fra le chiese ubicate “in castro Conce”, al paragrafo 712 (anni 1308-1310) è scritto testualmente: “Presbiter Thomas de Marchisio pro parte S.Viti et ecclesia S. Angeli gr.XVI”. (11)

Nella medesima raccolta di atti, fra le chiese ubicate “In castro Conche eiusdem dyocesis” (Theanensis, n.d.A.), al paragrafo 1013 (anno 1326) è scritto testualmente: “A presbitero Thomasio pro ecclesia S. Angeli de Valicella gr. VI, pro beneficio trium annorum tar. 1 1/2“ (12).

Una prima lettura di alcune Relationes ad Limina, (13) conservate nell’Archivio Segreto Vaticano, datate fra la fine del secolo XVI e il secolo XVII, consente di affermare che la chiesa suddetta, in quell’epoca, non era più censita fra le chiese di pertinenza del Castello di Conca. Ciò potrebbe implicare un cambio di dedicazione, ma questa evenienza ha bisogno di ulteriore documentazione.

Se alcuni registri di ricapitolazione di morte citano il nome di Cave fin dal 1574 (14), confermando l’esistenza dell’abitato già in quella data grazie ad alcuni diretti riferimenti alla chiesa di S. Antonio (Abate), della cappella di San Michele, diversamente, non disponiamo di riferimenti documentali che ne confermino, con certezza, eguale o maggiore vetustà.

Diversamente un primo dato certo ci viene fornito da un documento più tardo, conservato presso l’Archivio-Biblioteca della Diocesi di Teano-Calvi (15), riferibile ad un registro delle decime e degli introiti provenienti dalle parrocchie, dal quale leggiamo: “0-3-0 (16), dall’Economo della chiesa di S. Ant.o Abb.te del Casale delli Cavi et S.Michele”. Il Registro elenca gli introiti fin dal primo Seicento, ma una nota postuma data la pagina in questione al 1695. Questa breve, quanto preziosa annotazione, ci consente ad ogni modo di affermare che a quella data la cappella di San Michele era esistente e ben distinta dalla chiesa di S. Antonio Abate, unitamente alla quale raccoglieva decime per un valore piuttosto basso, almeno rispetto a quelle desunte dai più importanti edifici sacri ubicati nel centro di Conca.

La descrizione del piccolo edificio di culto

Con il conforto della testimonianza orale rilasciata dal Sig. Bruno Imbriglio e delle poche immagini disponibili tentiamo una descrizione sufficientemente dettagliata della piccola costruzione:

Il piano di calpestio dell’edificio risultava sensibilmente rialzato rispetto al piano campagna, stante anche il pronunciato dislivello della viabilità al contorno. Ciò che sorprende è che almeno nell’ultimo secolo di vita non si abbiano notizie dei gradini che necessariamente dovevano servire a guadagnare l’ingresso (almeno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale i gradini non sono mai stati in posto, tanto che, quando necessario, si faceva ricorso ad una scaletta in legno) (17).

La copertura ed il campanile

La copertura originaria era sicuramente composta da due piccole falde inclinate che dotavano la facciata della classica configurazione a capanna, come si evince chiaramente dalle fotografie in disponibilità, in cui è ancora evidente l’andamento originario delle falde e la rettifica muraria di sommità, tessuta con bozze di dimensione diversa, realizzata per dare continuità d’appoggio al moderno solaio piano che andò a sostituire la copertura più antica. All’incrocio delle falde si erge il piccolo campanile a vela che sembra essere ugualmente il risultato di modifiche operate in epoca recente (18), stante gli elementi lapidei utilizzati e l’apertura squadrata, configurata per l’alloggiamento della campana.

E’ molto probabile che questi interventi siano stati prodotti unitamente a quelli posti in essere per la riconfigurazione di tutta la parte alta del piccolo campanile posto sul retro dell’edificio, in corrispondenza dell’angolo nord-orientale, nell’anno 1926 (19). Anche il campanile, infatti, fu privato dell’originaria copertura, sostituita con un piccolo solaio piano per essere ricostruito almeno per tutta la parte sommitale, nella quale fu introdotta una doppia apertura quadrangolare, chiaramente moderna.

Gli interventi post sisma del 1960

Altre operazioni di revisione dell’edificio sembra siano state apportate a seguito del sisma del 1960 che ebbe come epicentro l’areale del Roccamonfina. Non vi sono, tuttavia, documenti comprovanti tali interventi e neppure le testimonianze raccolte sembrano suffragare tali diverse indicazioni che per il momento restano, pertanto, nell’alveo delle ipotesi.

La cappella era dotata di un unico altare, addossato alla parete di fondo e oltre al portale di ingresso e al piccolo rosone che lo sormontava, non presentava ulteriori aperture. Anche il campanile, infatti, risultava fruibile per mezzo di un’apertura autonoma esterna.

Il portale lunettato

Ma l’elemento maggiormente connotante la costruzione e sul quale vale la pena di concentrare l’attenzione appare senza dubbio il portale d’ingresso, le cui dimensioni risultano quasi sproporzionate rispetto a quelle della facciata in cui era incastonato. Si tratta di un portale “lunettato”, ovvero di un sistema trilitico sormontato da una lunetta a tutto sesto, il cui tipo risulta largamente diffuso anche sull’areale in questione. Si tratta però, nella maggior parte dei casi, di esemplari prodotti a partire dal Settecento e privi di particolare pregio architettonico. Quanto invece desumibile dalle sia pur sfocate e rare foto disponibili, induce subito ad ipotizzare, per il caso in esame, una vetustà ed una qualità meritevoli di approfondimenti.

Portali lunettati rinascimentali del Roccamonfina e datazione del portale di San Michele

La lettura del portale di San Michele può risultare, anzi, l’utile pretesto per una breve analisi sul tipo e sulla diffusione sull’areale del Roccamonfina. Quella che segue quindi è una disamina, sia pur molto sintetica, su una delle tipologie costruttive della sua edilizia storica, raramente intrapresa, perché piena di insidie, non fruendo del supporto del dato scientifico. In generale è comunque molto raro che elementi connotanti dell’architettura “minore” di palazzi, fortificazioni e chiese dei centri più piccoli e periferici, vengano sottoposti ad attente analisi, a raffronti tipologici, alla ricerca degli etimi del linguaggio architettonico.

Bisogna anzitutto ricordare che la tipologia in questione ha avuto larga diffusione fin dal periodo protoromanico, grazie anche alla vicinanza con quel capitale centro di irradiazione del rinnovamento di arte e architettura che fu la Montecassino dell’abate Desiderio. Alla presente indagine basterà fare unicamente cenno alle basiliche derivanti dal modello desideriano e diffuse su larga parte dell’Italia centro-meridionale (20) e per limitarsi al solo territorio in esame ricordare come le cattedrali romaniche degli unici centri gravitanti sul Roccamonfina assurti ad una certa dignità urbana, Sessa e Teano, presentino portali di questa tipologia derivanti dal modello cassinese. La medesima tipologia investì anche importanti edifici di culto extra-moenia, come la cattedrale di San Paride, o la chiesa annessa al monastero di San Benedetto, entrambe nel territorio di Teano. Il ruolo e l’importanza giocati da questi insigni monumenti hanno fatto sì che tali elementi costruttivi siano stati oggetto costante di attenzioni e di studi.

Decisamente meno indagato è, invece, il portale lunettato d’epoca rinascimentale, che nei contesti periferici continuerà a godere di pari fortuna e diffusione quasi senza soluzione di continuità. A differenza degli esemplari medievali, caratterizzati da una maggiore continuità fra sistema trilitico a sovrastante lunetta, quelli rinascimentali risultano sovente caratterizzati da lunette di ridotta dimensione rispetto al sottostante trilite, talvolta ulteriormente distinte per mezzo di cornici a gioco e da profili più leggeri (21). Differenze destinate ad amplificarsi con gli esemplari dello stesso tipo prodotti più tardi, nel corso del Sette-Ottocento.

E’ necessario evidenziare che il lasso temporale che va dalla metà del Quattrocento fino ai primi del Cinquecento risulta, per il Regno di Napoli, un periodo di profondi cambiamenti e di complesse sovrapposizioni e commistioni di stili, anche e soprattutto per la produzione dei portali, veri e propri simboli atti a manifestare la potenza familiare e personale del proprietario, nel caso dell’architettura civile, o quella di un Ordine, di una confraternita, di un benefattore, quando non semplicemente di una comunità, nel caso di un edificio di culto. Questi elementi costruttivi, pertanto, erano destinati a recepire, forse prima e più di altri, le variazioni di gusto che avvenivano nel corso del tempo. Basti ricordare che, all’utilizzo ancora diffuso per buona parte del Quattrocento di tipi caratterizzati dall’uso dell’arco gotico, si aggiunse, durante la reggenza durazzesco-catalana, la produzione di portali a sesto ribassato con giogo, mentre con la fabbrica messa in piedi per la ricostruzione del Castel Nuovo (a partire dalla metà del secolo) si registrò la pressoché contemporanea adozione del linguaggio rinascimentale toscano. Tutto questo senza che il tipo di portale lunettato conoscesse oblio. Anzi, guardando al cantiere di Castel Nuovo si rinvengono portali del tipo in esame, prodotti unitamente ad altri elementi costruttivi dal linguaggio tipicamente gotico-catalano, nei cui dettagli decorativi risultano già del tutto assorbiti i dettami del nuovo linguaggio classico toscano.

A partire dal secondo decennio del Cinquecento, poi, la fortuna di questa tipologia di portali conobbe il suo apogeo, con la produzione degli esemplari mormandei (22), i cui caratteri peculiari, tuttavia, restarono appannaggio, per lo più, dei soli centri ove intervenne direttamente il maestro e la sua bottega. I portali lunettati ideati dal Mormando, infatti, risultano fortemente caratterizzati da una serie di elementi peculiari del suo stile, quali: capitelli ionici, alti dadi d’imposta dell’archivolto, aggettante cornicetta d’appoggio dell’arco, lesene scanalate con marcati elementi geometrici (23).

Ulteriori analisi sul portale lunettato della cappella di San Michele

Compiuti questi sintetici, quanto indispensabili accenni alla evoluzione, alla fortuna e ai caratteri dei portali rinascimentali, torniamo alla lettura degli elementi che caratterizzano il portale di San Michele potendo svolgere qualche ulteriore, utile analisi e comparazione.

Il portale, quasi certamente scolpito nel tufo pipernoide locale (24), risulta caratterizzato anzitutto da una struttura del trilite molto robusta, diversamente dalla lunetta, avente un profilo meno complesso e quindi un peso architettonico minore. Una piccola cornice aggiuntiva, posta all’estradosso dell’architrave, marca un ulteriore distacco fra il trilite e la lunetta. Questi elementi, da soli, già forniscono sufficienti indicazioni per attribuire l’esemplare alla produzione rinascimentale. Le mensoline d’appoggio, arricchite da motivi ornamentali (forse fitomorfi), per eleganza e le proporzioni risultano lontane da quelle d’epoca medievale e maggiormente affini a quelle dei portali “albertiani” e in generale a quelli tardo quattrocenteschi, contribuendo a confermare, sia pur genericamente, la produzione del portale al periodo rinascimentale.

La scanalatura del trilite, configurata con un elemento centrale a mezzo toro e dagli effetti fortemente chiaro-scurali, deriva da quella presente in alcuni portali d’epoca aragonese. Non presenta più il “giogo” e gli altri elementi caratterizzanti questi ultimi, superati nel gusto già agli inizi del Cinquecento (25), ma sembra comunque raccogliere l’ultima l’eredità di una cultura poco incline all’adozione delle scanalature verticali mutuate dalle colonne e dalle paraste d’età classica. Questo motivo, spezzato in chiave da un ulteriore elemento decorativo (o forse da un’iscrizione), consente di focalizzare meglio il lasso temporale entro cui inserire la datazione del portale di San Michele. Si tratta, infatti, di una caratterizzazione geometrica largamente utilizzata anche dal Mormando e in genere nei portali prodotti a partire dal Primo Cinquecento e piuttosto diffusa fino all’esordio del linguaggio neoclassico e quindi al ritorno a motivi decorativi classici più canonici.

Si aggiunga che il portale era sormontato, come già ricordato, da un piccolo rosone, dotato di una forte strombatura e caratterizzato da almeno due cornici più esterne, che aiuta non poco nella formulazione di una possibile datazione delle partizioni più antiche della costruzione. Anche questo, per le caratteristiche sopra richiamate, risulta senza dubbio allineato al gusto rinascimentale.

Per affermarlo è possibile rifarsi agli elementi realizzati nella capitale del Regno già sul finire del Quattrocento, ma per utili e diretti raffronti basterà rivolgere la nostra attenzione, per esempio, anche alla quasi totalmente perduta (sic!) facciata della chiesa di S. Maria del Soccorso nel centro di Conca.

Il portale di S. Maria del Soccorso a Conca della Campania

Chiesa di Santa Maria del Soccorso - Cartolina dei primi del XX secolo
5 – Foto della facciata della chiesa di S. Maria del Soccorso

Due dei quattro rosoni, un tempo posti ai lati della facciata (quelli più esterni), risultano del tutto simili, se non identici, a quello del San Michele e appaiono palesemente inseriti in partizioni architettoniche più antiche rispetto a quelle dettate dal portale centrale e da altri elementi di più recente fattura (Fig.5). In questo caso il portale centrale, sormontato da un timpano e recante l’scrizione “A.G.P. 1612”, segna il certo “terminus ante quem” per l’edificazione dei rosoni, ma la loro datazione deve essere assegnata quanto meno ai primi decenni del secolo precedente.

Il portale della chiesa di S. Maria del Soccorso, tra l’altro, evidenzia un altro aspetto utile per inquadrare la datazione, in genere, dei portali presenti sul Roccamonfina, ovvero che alcuni elementi costruttivi tipici del linguaggio classico rinascimentale, in questo caso del timpano, che tendenzialmente ipotizziamo in uso già agli inizi del XVI secolo in realtà, su territori periferici come quello in questione, si diffondono solo sul finire del secolo, se non, come nel caso in questione, nel corso di quello successivo (26).

Anche un dettaglio come il decoro posto al centro del trilite, benché poco leggibile, aiuta alla datazione del portale in esame. Un portale realizzato tra la fine del Quattrocento e i primi anni del secolo successivo, ovvero in fase di recepimento dei caratteri del nuovo classicismo, difficilmente avrebbe concesso l’interruzione del profilo e della modanatura del trilite per l’inserimento di ulteriori elementi decorativi. Si tratta pertanto di scelte più tarde.

Altri portali dell’areale del Roccamonfina

A titolo esemplificativo, sempre riferendosi all’areale in questione, si veda il portale della chiesa dell’Annunziata di Galluccio (Fig.6), inserito in una compagine muraria più antica, di probabile foggia quattrocentesca, dove la modanatura a contorno risulta interrotta al centro, per accogliere la scritta “A.G.P. 1612” (esattamente coeva a quella del portale della chiesa del Soccorso sopra richiamata).

Portale della chiesa dell'Annunziata di Galluccio
6 – Il portale della chiesa dell’Annunziata di Galluccio (CE)

Per completezza bisogna anche ricordare che alcuni portali, quasi certamente prodotti già nel corso del XVI secolo, presentano un apparato decorativo del trilite ancora più complesso, nel quale le modanature al contorno oltre che in “in chiave” risultano interrotte e piegate anche sui piedritti (quasi a ricordo del “giogo” presente sui portali durazzesco-catalani).

E’ il caso, per esempio, del fastoso portale della chiesa di Santo Stefano in Galluccio (Fig.7) e di quello inusuale di Santa Maria in Foro Claudio di Ventaroli di Carinola (Fig.8) (27). Quest’ultimo, tra l‘altro, rappresenta una interessante testimonianza della complessità strutturale e decorativa contenuta in un portale lunettato rinascimentale (28).

Portale rinascimentale della chiesa di Santo Stefano di Galluccio (CE)
7 – Il portale rinascimentale della chiesa di Santo Stefano di Galluccio (CE)
Portale lunettato della basilica di Santa Maria in Foro Claudio di Ventaroli di Carinola (CE)
8 – Il portale lunettato della basilica di Santa Maria in Foro Claudio di Ventaroli di Carinola (CE)

Si tratta tuttavia di casi isolati, dal momento che sull’areale in esame i portali lunettati rinascimentali, per buona parte del XVI secolo, risultano generalmente caratterizzati da una estrema sobrietà delle forme e dei decori, per nulla inclini a recepire, per esempio, le caratterizzazioni dei portali mormandei. Anzi, in alcuni casi risultano pervasi da una marcata arcaicità e da una similitudine con i più antichi esemplari romanici, tanto da indurre facilmente in errore quanti impegnati nella loro datazione. Si veda, sempre a titolo esemplificativo, il portale della chiesa di San Nicola nella vicina Presenzano (Fig.9) (29). Possiamo evidentemente affermare che la posizione e la perifericità di questo areale abbiano influito sul mancato assorbimento di certi dettami peculiari del linguaggio aulico mormandeo, preferendo l’adozione dei caratteri più arcaici già espressi da questa tipologia di portali.

Portale lunettato della chiesa di San Nicola di Presenzano (CE)
9 – Portale lunettato della chiesa di San Nicola di Presenzano (CE)
Uno dei portali lunettati della chiesa di Monte Atano Roccamonfina (CE)
10 – Uno dei portali lunettati della chiesa di Monte Atano Roccamonfina (CE)

Il tipo in questione, ad ogni modo, nonostante la perdita di tanti esemplari, risulta ancora quello capillarmente più diffuso, tanto sugli edifici sacri edificati all’interno o in prossimità dei centri abitati, tanto sulle numerose ed isolate cappelle rurali sparse sul territorio, in alcuni casi associate a luoghi di sepoltura, come dimostrano i due esemplari contenuti nella chiesa di Monte Atano (loc. Capitolo) di Roccamonfina (Fig.10) (30). Tipologia che è andata quindi ad impreziosire tanto le più eminenti e preziose fabbriche religiose, tanto i più modesti edifici, come nel caso in questione. Un excursus sufficientemente esaustivo compiuto sull’intero areale vulcanico consente di affermare che si sia trattato del tipo più diffuso per tutto il XVI sec. e ancora oltre, fino all’adozione di più elaborati modelli dettati dal gusto “barocco”.

Ipotesi di datazione del portale lunettato della cappella di San Michele in Cave di Conca della Campania

In merito all’esemplare del San Michele di Conca, in conclusione, la valutazione compiuta su tutti gli elementi visibili dalle immagini, incluso le apparecchiature murarie della facciata, benché fortemente condizionata dalla scomparsa dell’edificio, consente di affermare che possa essere riferito al periodo tardo-rinascimentale e non a manufatti più recenti. Alla luce dell’evoluzione del linguaggio architettonico espresso dai portali sul territorio indagato, sembra possibile ipotizzare per la sua edificazione la metà del XVI secolo quale “terminus post-quem”, spingendo necessariamente fino alla metà di quello successivo il “terminus ante quem”, almeno fino a quando nuove prove documentali non consentano di restringere ulteriormente questo intervallo temporale.


Gennaro Farinaro

Gennaro Farinaro

Sono un architetto libero professionista, classe 1972.
Dal 2013 vivo a Cava de’Tirreni (SA), mentre lo studio associato di progettazione, del quale sono co-titolare, è ubicato nel borgo di Tora e Piccilli (CE) che è parte integrante dell’areale vulcanico del Roccamonfina e dell’omonimo Parco Regionale.

I miei studi sono rivolti soprattutto ai caratteri tipologici dell’edilizia storica di questo areale e del suo intorno territoriale, con particolare attenzione alle strutture fortificate, di varia natura, che ne costellano le fertili pendici. Sono membro dell’Istituto Italiano dei Castelli, sezione Campania e dell’equipe scientifica di studio del Sito paleontologico denominato “Ciampate del Diavolo”. Alcune pubblicazioni prodotte dal 2007 sono liberamente disponibili dal sito Academia.edu/GennaroFarinaro.


Note

(1) Intervista a Bruno Imbriglio registrata in data 23-05-2020. Durata complessiva min 10,40”. I ricordi del Sig. Imbriglio risalgono fino agli anni Quaranta del Novecento quando, bambino, frequentava quotidianamente la cappella ed il circondario. La parete di fondo, nella parte interna, era l’unica dotata di decori che, nel ricordo del Sig. Imbriglio, consistevano in lacerti di un affresco ormai molto rovinato e poco leggibile già nel primo Dopoguerra (min. 3,00” e min 4,30”).

(2) La possibilità di abbattere, in parte o del tutto, edifici di pregio architettonico, va inquadrata in una condizione socio-politica ben diversa da quella attuale. Si tratta di scelte operate tanto nel Dopoguerra, tanto all’indomani degli eventi sismici del 1980-84. A tal riguardo, per il territorio di Conca della Campania, si rimanda ai seguenti, illuminanti documenti: lettera di un gruppo di cittadini di Conca (firmatari) al Prefetto di Caserta ed altre Autorità civili e religiose datata 4 Settembre 1954 (ADTC, Fascicolo “Conca”), lettera di Don Alberto Segrella al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro per la Protezione Civile datata 28 Maggio 1984 (ADTC, Fascicolo “Conca”), lettera del Sindaco Lamberto Di Caprio al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro per la Protezione Civile datata 05 Giugno 1984 (ADTC, Fascicolo “Conca”), lettera di De Felice Vittorio indirizzata all’Ufficio Amministrativo della Diocesi di Teano-Calvi datata 27 Gennaio 1984 (ADTC, Fascicolo “Conca”).

(3) Carta della Diocesi di Teano, fatta elaborare da Mons. Giovanni de Guevara nel 1635, Teano, Archivio-Biblioteca della Diocesi di Teano-Calvi.

(4) Nella cartografia compare anche il vicino nucleo abitato di Faeta. Segno inequivocabile che, a differenza dell’urbanizzazione moderna, catalizzata in buona parte dalla viabilità rotabile, quella di origine medievale nasceva dall’esigenza di utilizzare capillarmente, ma in forme sostenibili, ogni risorsa del territorio.

(5) A titolo puramente esemplificativo: Terra di Lavoro, Olim Campania Felix di G.A. Magini, 1620 – Terra di Lavoro, Olim Campania Felix di J. Jansson, 1660 – Provincia di Terra di Lavoro di Domenico De Rossi, 1714. Si tenga conto che le località presenti in mappa spesso venivano pedissequamente riportate dai lavori precedentemente pubblicati.

(6) Corrispondente con quanto mostrato dalle rarissime immagini fotografiche disponibili.

(7) Sul resto del territorio concano, come di tutto l’areale roccano, l’assetto viario risultò invece completamente variato con la costruzione delle moderne rotabili. I due assi alternativi che unirono i centri di Sessa e Mignano, in particolare, furono progettati prima dell’Unità d’Italia, con una previsione di spesa di 100.000 Ducati, per essere realizzati solo dopo gli accadimenti risorgimentali. Per approfondimenti si veda: Farinaro G., La viabilità post unitaria in Terra di Lavoro. Materiali, manufatti e magisteri per la complessa dinamica per la costruzione della rotabile Tora-Conca della Campania, pp.112.114, in Farinaro G. (a cura di), Per circum et in medio. Archeologia, architettura, arte e storia nell’areale del Roccamonfina e nel suo intorno territoriale, Caramanica Editore, Marina di Minturno (LT) 2017.

(8) Una limitata variazione di percorso risulta essere stata introdotta solo molto più a monte della chiesa di Sant’Antonio Abate, in corrispondenza del vecchio bivio per Catailli, con l’introduzione di una modesta curvatura di tracciato che è quella ancora percorribile, al fine di superare l’ostacolo costituito dal poggio indicato in mappa come “Trilicio”.

(9) Comparelli P., Cave di Conca – Storia tradizioni e fede popolare, Venafro 2002, p.19.

(10) Si ringrazia il Dr. Adolfo Panarello per il supporto ricevuto.

(11) Cfr. Inguanez M., Mattei-Cerasoli L., Sella P., Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Campania, Città del Vaticano: Biblioteca Apostolica Vaticana, 1942, p.71, § 712.

(12) Cfr. Ibidem, p.85, §1013. Quest’ultimo Atto sembra doversi riferire più facilmente ad un diverso luogo ubicato nel territorio di Conca.

(13) Cfr. Archivio Segreto Vaticano, Congregazione del Concilio, Relazioni Diocesane, 793A.

(14) Comparelli P., Cave di Conca – Storia tradizioni e fede popolare, Venafro 2002, p.16. Ma oltre a fonti documentali l’abitato di Cave, nella sua parte più bassa, ha conservato anche una prova materiale, consistente in un portalino tardo rinascimentale conservato in un cortile interno privato.

(15) Faldone “Conca della Campania”.

(16) Introito monetario espresso in Ducati, Tarì, Grani, come indicato nelle pagine dello stesso Registro.

(17) Cit. Testimonianza orale del Sig. Bruno Imbriglio, min 5,30”.

(18) E’ facile ipotizzare che la cappella fosse già dotata di un campanile a vela, posto all’incrocio delle falde, sulla scorta del (ancora) congruo numero di chiese rurali e cappelle dell’areale del Roccamonfina dotate di questo elemento. A titolo puramente esemplificativo e al fine di arricchire le indicazioni del presente contributo si citano la chiesa extra-moenia di Santa Maria delle Grazie (o della Surienza) e la cappella di San Lorenzo in Tuorisichi, entrambe nel territorio di Roccamonfina, la chiesa di San Nicola in loc. Ameglio, la cappella di Maria SS. del Carmine di Vallecupa, la chiesa dell’Annunziata in Grottola, tutte nel territorio di Marzano Appio. Molte di esse, non casualmente, sono strutture nate o completamente rinnovate nel corso del Rinascimento.

(19) Cit. Testimonianza orale del Sig. Bruno Imbriglio, min 2,40” – Cit. Comparelli P., Cave di Conca, p.23.

(20) Aspetto largamente dibattuto e studiato. Si veda a riguardo: G. Carbonara, Iussu desiderii: Montecassino e l’architettura campano-abruzzese nell’undicesimo secolo, Università degli studi di Roma, 1979, pp.197, passim.

(21) Caratteristiche brevemente analizzate in: Farinaro G – Farinaro A., Arma, Virtus, Fides. Iconologia e iconografia del portale della chiesa di San Nicola in Presenzano (CE), in Panarello A. e Miraglia F. (a cura di), Ethnogonica. Saggi di confine fra antropologia e archeologia, Caramanica Editore, Marina di Minturno (LT) 2017, pp. 153-155.

(22) Giovanni Donadio, detto il Mormanno. Cosentino (Mormanno 1455 – Napoli 1530). L’Architetto che probabilmente maggiormente caratterizzò l’architettura napoletana del Primo Cinquecento, recependo in forme originali il gusto rinascimentale toscano e bramantesco.

(23) “Non a caso Roberto Pane (1974) individuava proprio nella foggia dei portali il lascito più rappresentativo che il Mormando affidava al prosieguo dell’architettura napoletana di stampo classicistico: la stessa diffusione di quel motivo, largamente imitato nella sua tipologia, lo promuove al rango di vero e proprio simbolo, come notava ancora Pane, del “Rinascimento” architettonico napoletano” (Francesco Abate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Il Cinquecento, Donzelli Editore, Roma 2001, pp.147-148).

(24) Per quanto visibile dalle foto disponibili, il materiale lapideo appare di tono chiaro, come generalmente è il tufo del territorio concano. Certamente è da escludere l’utilizzo della dura pietra lavica del Roccamonfina, i cui toni sono tendenzialmente rosso-cinerei, come testimoniato anche dal Sig. Imbriglio (cit.)

(25) Pietro Summonte in una corrispondenza del 1524 con Marcantonio Michiel, scrisse: la sala grande del Castelnuovo è pur grande opera; ma è cosa catalana, nihil omnino habens veteris architecturae (Pane, R. Il Rinascimento nell’Italia meridionale, vol.I, p.69). Fissando così un termine ultimo per le fortune della architettura catalana nel Regno di Napoli a favore di quella rinascimentale d’impronta toscana.

(26) Per restare al territorio di Conca, il portale della chiesa di San Pietro Martire nella frazione di Orchi, dotato di timpano, è datato 1791. Ugualmente tardo è il portale della chiesa di San Pietro Apostolo, nel centro di Conca, dotato di un timpano poco pronunciato.

(27) Posto ai piedi del Massico, poco distante dalle ultime propaggini occidentali del Roccamonfina.

(28) Certamente meno studiato del ben più vetusto edificio in cui fu incastonato e del suo prezioso, quanto complesso ciclo decorativo.

(29) Farinaro G – Farinaro A., Arma, Virtus, Fides, cit., pp. 151-169.

(30) Uno dei due portali è stato purtroppo predato in anni recenti, causa anche l’incuria e l’abbandono del luogo. La foto utilizzata lo propone ancora in posto. La chiesa di Monte Atano, benché interessata da aggiunte ed interventi successivi, risulta per impianto, caratteri costruttivi e decorativi, chiaramente ascrivibile al Rinascimento.

Crediti fotografici e cartografici

  • Le foto e le cartografie utilizzate, ove non diversamente indicato, appartengono all’Autore. Tutti i diritti riservati.
  • Le foto 3 e 4 sono gentilmente concesse dal Sig. Salvatore Imbriglio.
  • La foto 5 è desunta da Concadellacampania.info
  • Le foto 6 e 9 sono desunte dal volume: Angelone G, Panarello A. (a cura di), Inventario essenziale dei Beni Culturali esistenti nelle “aree SIC” e nell’intero territorio della Comunità Montana “Monte Santa Croce”, Graficart, Formia (LT) 2008.
  • Parte delle ricerche d’archivio sono state compiute presso l’Archivio Diocesano di Teano-Calvi, indicato nel testo con la sigla ADTC.

Galleria Fotografica