Il recente ritrovamento di un documento postale inviato dal sindaco di Conca al sottintendente del distretto di Gaeta, ricevuto il 16 settembre 1811, suggerisce di condividere qualche riflessione sulla storia postale di Conca della Campania e sugli assetti istituzionali dell’epoca. Non prima, però, di aver tratteggiato un più generale quadro storico di riferimento.
Il decennio napoleonico del Regno di Napoli e la presenza dei francesi a Conca
Dopo l’invasione del Regno di Napoli e la presa della Capitale partenopea il 15 febbraio 1806, Napoleone Bonaparte nominò il fratello Giuseppe re delle Due Sicilie il successivo 30 marzo. Il Regno, però, comprendeva la sola parte continentale, quella definita “al di qua del faro” [1], mentre la Sicilia rimaneva ai Borbone sotto il protettorato inglese. Giuseppe Bonaparte governò fino all’8 luglio 1808, quando fu chiamato sul trono di Spagna. Gli successe Gioacchino Murat, incoronato il 1° agosto col nome di Gioacchino Napoleone [2], che regnò fino al trattato di Casalanza del 20 maggio 1815 [3].
Durante il “Decennio francese” fu avviata un’importante stagione di riforme: la feudalità venne abolita (legge n. 130 del 2 agosto 1806), così come gli ordini regolari (con conseguente ridistribuzione dei beni a essi riferibili). Furono istituiti un nuovo catasto onciario, l’imposta fondiaria e i registri dello stato civile. L’apparato amministrativo preesistente fu letteralmente spazzato via, sostituito da una struttura fortemente centralizzata che aveva il proprio fulcro nel ministro degli interni, rappresentato nelle province dall’intendente e nei distretti dai sottintendenti [4].
Per quanto riguarda la presenza francese a Conca, qualche notizia risulta dagli scritti storici del dottor Pietro Galdieri, pubblicati sulle pagine del Patto Costituzionale del 25 marzo e del 5 aprile 1880 [5]:
“… l’antico castello cadeva già in collasso, e s’ebbe l’ultimo colpo dalla soldatesca francese, che vi venne accasermata durante il decennio napoleonico; la quale si fece a bruciarne porte, finestre, e mobiglia, distruggendo ogni storico ricordo delle passate signorie; nel tempo stesso che s’aboliva in diritto, per le leggi eversive del 1808, la stessa ragion feudale” [6].
Un nuovo modo di governare il territorio
Con la legge 8 agosto 1806 n. 132 “Sulla divisione e amministrazione delle province”, varata da Giuseppe Bonaparte, si ripartì il territorio del Regno di Napoli sulla base del modello francese, con l’istituzione di province, distretti e circondari in cui venivano ricompresi i comuni.
A questa prima legge, che riorganizzò la provincia di Terra di Lavoro nei distretti di S. Maria (nuovo capoluogo), Gaeta e Sora, ne seguirono altre due di dettaglio [7]:
- la legge n. 272 dell’8 dicembre 1806, che indicava i governi, cioè i circondari di ciascun distretto;
- la legge n. 14 del 19 gennaio 1807, che indicava i comuni ricompresi in ciascun circondario.
Il circondario non aveva organi amministrativi, ma era sede di alcuni servizi pubblici tra i quali la giudicatura, ossia il primo livello giudiziario, con annesse carceri circondariali [8].
La citata legge 8 agosto 1806 n. 132 si occupò anche dell’ordinamento comunale, prevedendo che il decurionato – un organo deliberativo costituito da capofamiglia eletti tra coloro che erano iscritti nel ruolo delle contribuzioni – nominasse sindaco e due eletti, nonché discutesse sui conti da questi presentati alla fine di ogni anno. Al sindaco era affidata l’amministrazione in senso stretto, con l’assistenza di uno dei due eletti. All’altro spettavano compiti esclusivi in materia di polizia municipale e rurale.
La successiva legge 20 maggio 1808 n. 146 consentì l’accesso alle liste degli eleggibili alle cariche di decurione, sindaco ed eletto anche a chi esercitava una professione nelle arti liberali, a prescindere dal censo. In virtù di tale ultima riforma, la nomina del sindaco e degli eletti – sulla base di una terna di soggetti eleggibili proposta dal decurionato – era effettuata dal re o delegata agli intendenti nei comuni minori [9].
Il distretto di Gaeta, gli accorpamenti di Conca e le attività istituzionali e postali
Come visto, il distretto di Gaeta fu individuato quale ripartizione amministrativa della provincia di Terra di Lavoro nel Regno delle Due Sicilie dalla legge n. 132 dell’8 agosto 1806 [10]. Con la successiva legge n. 272 dell’8 dicembre 1806, lo stesso distretto fu diviso in otto sotto livelli amministrativi detti circondari: Gaeta, Le Fratte, Traietto, Fondi, Teano, Carinola, Sessa e Roccamonfina [11].
Con la legge n. 14 del 19 gennaio 1807 Conca venne inizialmente ricompresa nel circondario di Teano. Fu solo per effetto del successivo decreto n. 922 del 4 maggio 1811 che passò al circondario di Roccamonfina [12], cui rimase amministrativamente legata anche durante il Regno d’Italia [13].
A queste relazioni fra istituzioni, naturalmente, corrispondevano dei collegamenti postali. Per Conca, alcuni di essi sono indicati nel budget dell’Università [14] per l’anno 1810:
“Per tanti corrieri straordinari che vengono continuamente spediti da moltissime autorità non meno per il corriere Procacciuolo che va due volte la settimana in Teano (si ammettono solo 6 ducati per Procacciuolo) = 25,60 ducati” [15].
Questa voce è la fotografia di un’intensa attività istituzionale del comune di Conca, tale che “moltissime autorità” chiedevano all’Ente di inviare corrieri straordinari per evadere la corrispondenza d’ufficio. Prima delle riforme amministrative francesi, i costi di questo corposo ricorso ai servizi postali erano a totale carico delle casse comunali. Ma a seguito del decreto emanato da Gioacchino Napoleone il 25 luglio 1810, le spese del sistema della posta interna [16] (per corrieri, pedoni e procacciuoli) furono escluse dai budget dei comuni e riconosciute solo entro limiti predefiniti. Fu vietato espressamente a ogni autorità di comandare la spedizione di corrieri a spese dei comuni, chiedendosi che provvedessero personalmente e solo in casi urgenti. Chiunque trasgredisse pagava di tasca propria [17].
Il secondo dato interessante è il collegamento postale con Teano, che all’epoca era ancora il capoluogo del circondario di appartenenza di Conca. Nel budget si cita il “corriere procacciulo che va due volte la settimana in Teano”. In quel periodo i due centri erano collegati anche, e certamente in maniera più agevole, mediante il cammino traverso San Germano – Torricelle (contrada di Teano), lungo il quale c’era la stazione di posta di Taverna di Conca. Su questo percorso postale transitavano corrispondenza (mediante postiglioni e staffette), denaro, merci (mediante procacci) e passeggeri [18].
Il dettaglio della lettera da Conca a Gaeta
Il documento in esame rappresenta un tassello importante negli studi per la ricostruzione della storia postale del comune di Conca della Campania [19]. Il piego, che viaggiò in franchigia [20] quale corrispondenza istituzionale, fu inviato dal sindaco pro tempore Giuseppe Paparelli [21] al sottintendente del distretto di Gaeta, Tommaso Montaruli [22], giungendo a destinazione il 16 settembre 1811. Pur in assenza di un testo completo, la datazione è resa possibile dalla stesura di una nota interna a cura dello stesso sottintendente:
“16 7mbre 1811 Conca / Si conservi per ora / Montaruli” [23].
L’annullo postale di Sessa è del tipo lineare a stampatello inclinato con iniziale grande [24], impresso in colore bruno. L’associazione tra Sessa e Conca è spiegata dal fatto che sin dall’istituzione dell’officina di posta di Sessa nel 1810 [25], e almeno fino al 1875 [26], il riferimento postale per Conca fu proprio Sessa.
Particolarità di questo documento è il colore bruno dell’inchiostro con cui fu impresso il timbro di Sessa. Il Vollmeier ne riporta l’impiego in epoca più tarda [27], riferendo esclusivamente l’uso di inchiostro nero nel periodo compreso tra l’8 febbraio 1811 e il 24 ottobre 1812 [28]. Il piego, dunque, anticipa non di poco il terminus a quo dell’impiego del colore bruno per questo annullo.
Interessantissimo, poi, è il bollo del comune di Conca. Esso è caratterizzato dalla scritta ad arco in alto “Comune di Conca”, che sovrasta lo stemma minore del regno delle Due Sicilie sotto Gioacchino Murat [29].
Pasquale Comparelli, in un’analisi dei timbri e stemmi del comune di Conca dal 1800 a oggi, ne riferisce l’uso nel 1812 [30]. Nell’ottobre 1810, poi, bolli di identica foggia (San Pietro Infine [31] e Carinola [32]) compaiono impiegati in funzione “amministrativa” su alcuni certificati presenti nei registri dello stato civile di Conca.
Infine, bolli identici dei comuni di San Giovanni Incarico, Pico, Maranola e Mondragone [33], apposti in funzione “postale” come il Conca in esame, risultano senza data o utilizzati dopo il 16 settembre 1811.
Questa prima embrionale ricerca suggerisce come molto probabile l’impiego del bollo “murattiano” di Conca prima del settembre 1811. Tuttavia, almeno per il momento, è proprio il nostro piego a rappresentarne la testimonianza “postale” più remota.
Il bollo amministrativo murattiano di Conca come bollo di cancelleria comunale (postale)
Osservando una cartina del sistema postale terrestre del Regno di Napoli, stratificatosi lungo il XVIII e i primissimi anni del XIX secolo, è evidente come i centri minori fossero esclusi dalla rete.
Presso Taverna di Conca, stando allo stato generale delle poste del Regno di Napoli del 1808, vi fu una stazione di posta dei cavalli almeno fino al 1820 [34] ed è assai probabile che, quantomeno inizialmente, questo “presidio” servì anche per le esigenze postali locali. Resta il fatto, però, che Conca non ebbe mai un’officina di posta e l’ufficio postale locale fu aperto solo il 1° luglio 1878 [35].
Ad ogni modo, già a metà del XVIII secolo i piccoli comuni provvidero ciascuno per proprio conto o mediante sistemi associati – comunque a proprie spese – al ritiro e alla consegna della corrispondenza presso la tenenza [36] competente per territorio. Detta consuetudine si rafforzò con il miglioramento della qualità delle strade, specialmente quelle secondarie più interne, divenendo col tempo un obbligo codificato a carico delle cancellerie comunali. Questo è quello che si conosce come servizio di “posta interna” [37], evidentemente interna alla singola tenenza.
Tale sistema continuò a funzionare anche durante i regni di Giuseppe Napoleone e Gioacchino Murat, ma con una rilevante novità: il servizio di trasporto e consegna alle cancellerie fu gestito direttamente dai corrieri dell’Amministrazione centrale e non più dai singoli comuni [38].
Dopo la Seconda Restaurazione borbonica, la posta interna e il ruolo in essa giocato dalle cancellerie comunali furono disciplinati dal R.D. n. 743 del 19 giugno 1817 [39] e successivamente dal R.D. n. 1534 del 25 marzo 1819 [40] con annesso Regolamento attuativo [41].
Tra le disposizioni relative alla posta interna, però, non ve ne sono che interessino le bollature delle cancellerie comunali, talché non è documentato un loro obbligo alla bollatura. Tuttavia, numerose furono quelle che lo fecero, per giunta nei modi più disparati: usando bolli creati ad hoc, impiegando bolli amministrativi o semplicemente scrivendo a mano il nome della località. Ci furono poi casi di officine soppresse che continuarono a usare i timbri che avevano avuto in dotazione.
A ben vedere, una sorta di traccia normativa può ritenersi la circolare del 12 agosto 1809 con cui il direttore di posta della provincia di Bari ordinava a ciascun responsabile di cancelleria comunale di annotare sulle lettere che “sortano da codesto comune” il nome della località di partenza [42].
In un quadro tanto incerto e stimolante per studiosi e appassionati di storia postale e locale, piace riportare la tesi di Salvatore D’Ambrosio [43]. Egli sostiene che, nonostante l’uso sporadico su corrispondenza in partenza da Conca, il “murattiano” sia da considerare un bollo di cancelleria comunale. Al naturale interrogativo sul perché, quindi, il suo uso sia così raro, l’autore risponde che le cancellerie omettevano il bollo per mancanza di tempo o per dimenticanza (abbiamo appena visto che non si riscontra un vero e proprio obbligo di bollatura per le cancellerie); per distruzione della corrispondenza o perché, essendo il servizio a carico del comune, essa non veniva evasa per risparmiare. A testimonianza di ciò, faldoni colmi di reclami e punizioni conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli.
Note
[1] Il faro è quello di Messina e le espressioni «Reali dominii al di qua del Faro» e «Reali dominii al di là del Faro» indicavano rispettivamente il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia.
[2] Cfr. Nino Cortese, Gioacchino Murat, re di Napoli, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1933; Alfonso Scirocco, Giuseppe Bonaparte, re di Napoli in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 57, 2001.
[3] Il trattato di Casalanza (casa Lanza era una tenuta nei pressi di Pastorano) fu stipulato tra l’esercito austriaco e quello napoletano di Gioacchino Murat, dopo la sconfitta nella battaglia di Tolentino. Con esso l’imperatore Francesco II d’Asburgo-Lorena riconsegnava all’alleato Ferdinando IV di Borbone il Regno di Napoli. Cfr. Domenico Spadoni, Casalanza, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1931.
[4] Cfr. Aldo Di Biasio, La riforma amministrativa nel processo di modernizzazione dello Stato avviato dai francesi nel Regno di Napoli – Gli atti del Consiglio Distrettuale di Gaeta, in Aldo Di Biasio (a cura di), Economia, società e politica in Terra di Lavoro e in Campania tra Ottocento e Novecento – Studi in memoria di Carmine Cimmino, Luciano Editore, Napoli, 1998.
[5] Cfr. Pietro Galdieri, Cenni Corografico – Storico – Statistici del Comune di Conca della Campania, G. De Angelis e Figlio, Napoli, 1880.
[6] Ivi, pag. 10.
[7] Alla provincia di Terra di Lavoro furono sottratti tutti i territori che andarono a costituire la provincia di Napoli. La medesima legge spostò il capoluogo da Capua a S. Maria.
[8] Cfr. Diego G. Di Salvo, Il giudicato circondariale di Roccamonfina, in Pillole di Storia Postale dell’areale del Roccamonfina #6, Conca della Campania, 2023.
[9] Cfr. Idem, Sindaci di Conca della Campania dal 1809 ad oggi, concadellacampania.info, 2022.
[10] Cfr. Supra § Un nuovo modo di governare il territorio.
[11] Cfr. Salvatore D’Ambrosio, Annullamenti di Terra di Lavoro, Pesole s.n.c., Napoli, pag. 9.
[12] Cfr. Ivi, pag. 11.
[13] Cfr. Ivi, pag. 24.
[14] Con il termine università (universitas) era indicato il comune dell’Italia Meridionale.
[15] Aniello Parma, Conca della Campania Storia Tradizioni e Immagini, Nuove Edizioni Ciesseti, Napoli, 1985, pag. 59.
[16] Per la posta interna vedi infra § Il bollo amministrativo murattiano di Conca come bollo di cancelleria comunale (postale).
[17] Cfr. Paolo Vollmeier e Vito Mancini, Storia Postale del Regno di Napoli dalle origini all’introduzione del francobollo, Paolo Vollmeier Editore, Castagnola (Svizzera), 1996, Vol. II, pag. 843.
[18] Cfr. Diego G. Di Salvo e Gennaro Farinaro, La Taverna di Conca, concadellacampania.info, 2023.
[19] Conca mutò denominazione in Conca della Campania in forza del R.D. N. 977 del 09/11/1862, che entrò in vigore dal 20/12/1862.
[20] La franchigia postale è l’esenzione dal pagamento delle tasse postali.
[21] Nel 1811 era sindaco di Conca Giuseppe Paparelli, probabilmente lo stesso che per 190 ducati ebbe in locazione dal principe Invitti il terreno di Stagli e la taverna in Conca centro in virtù di un “istrumento” del 2 gennaio 1819. Cfr. Diego G. Di Salvo, Sindaci di Conca della Campania dal 1809 ad oggi, cit.
[22] Cfr. Luigi Russo, Consiglieri d’Intendenza di Terra di Lavoro nel Decennio francese in Rivista di Terra di Lavoro – Bollettino on-line dell’Archivio di Stato di Caserta – Anno III, n° 1, aprile 2008, pag. 94.
[23] Il documento appartiene oggi alla collezione DDS Lab e proviene dalla collezione del noto studioso di storia postale di Terra di Lavoro Salvatore D’Ambrosio.
[24] Cfr. Paolo Vollmeier e Vito Mancini, Storia Postale del Regno di Napoli dalle origini all’introduzione del francobollo, cit., Vol. III, pag. 1352.
[25] Cfr. Ibidem.
[26] Cfr. Amato Amati, Dizionario Corografico dell’Italia, Vol. III, Vallardi Editore, Milano, 1875, pag. 136; Mario Rasile, Annullamenti e bolli postali e comunali dei centri dell’ex distretto di Gaeta dal periodo napoleonico al 1900, Poligrafica Gaeta, 1981, pagg. 58 e 59.
[27] Per il rosso bruno l’intervallo indicato è dal 2/1815 al 6/3/1818. Per il bruno, invece, dal 20/4/1820 al 9/10/1824. Cfr. Paolo Vollmeier e Vito Mancini, Storia Postale del Regno di Napoli dalle origini all’introduzione del francobollo, cit., Vol. III, pag. 1352.
[28] Cfr. Ibidem.
[29] Il sigillo semplificato di Gioacchino Murat riprendeva quello semplificato del suo predecessore Giuseppe Bonaparte, definito dalla legge 8 dicembre 1806. Lo stemma era pensato per essere apposto su monete e decreti ed era caratterizzato dai seguenti elementi: nel 1° d’azzurro a due cornucopie d’oro decussate (Terra di Lavoro); nel 2° d’azzurro al delfino d’argento in palo (Otranto); nel 3° d’oro alla Trinacria al naturale (Sicilia); sul tutto l’aquila napoleonica. Cfr. Giacomo C. Bascapé e Marcello Del Piazzo, Insegne e Simboli – Araldica Pubblica e Privata medievale e moderna, Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma, 1993, pagg. 892, 893 e 916.
[30] Pasquale Comparelli, Cave di Conca storia tradizioni e fede popolare, Conca della Campania, 2002, pag. 15.
[31] Per il Comune di San Pietro Infine 24/10/1810. Cfr. Lo Stato civile napoleonico e della restaurazione, Conca, 1810, Matrimoni, Notificazioni, Segnatura 142.10005, pag. 29.
[32] Per il Comune di Carinola 24/10/1810. Cfr. Lo Stato civile napoleonico e della restaurazione, Conca, 1810, Matrimoni, Notificazioni, Segnatura 142.10005, pag. 46.
[33] Cfr. Mario Rasile, Annullamenti e bolli postali e comunali dei centri dell’ex distretto di Gaeta dal periodo napoleonico al 1900, cit.
[34] Cfr. Diego G. Di Salvo e Gennaro Farinaro, La Taverna di Conca, cit.
[35] Cfr. Bullettino Postale N.7 del 1878.
[36] La tenenza era una porzione del territorio (provincia o distretto) sottoposta alla giurisdizione dell’affittatore che diventava ufficiale di posta e incamerava le tasse per il Fisco, secondo delle tariffe stabilite dal Corriere Maggiore con dispaccio reale. Cfr. P. Vollmeier e V. Mancini, Storia Postale del Regno di Napoli dalle origini all’introduzione del francobollo, Vol. I, cit., pag. 18.
[37] Cfr. P. Vollmeier e V. Mancini, Storia Postale del Regno di Napoli dalle origini all’introduzione del francobollo, Vol. I, cit., pag. 825; Giovanni Chiavarello, Le bollature postali del Regno di Napoli dalla Restaurazione borbonica all’adozione dei francobolli (1815 – 1858), Edizioni Filateliche Internazionali, Napoli, 1971.
[38] Cfr. Gaetano Dello Buono, Bollature e Annullamenti postali del Regno di Napoli, Vignola (Modena), Vaccari, 2003, pag. 126; Paolo Vollmeier e Vito Mancini, Storia Postale del Regno di Napoli dalle origini all’introduzione del francobollo, Paolo Vollmeier Editore, Castagnola (Svizzera), 1996, Vol. II, pag. 843.
[39] R.D. n. 745 del 10 giugno 1817, Art. 1 “I cancellieri comunali de’ luoghi situati nell’interno delle province, ne’ quali non trovasi stabilita una officina di posta, saranno incaricati di distribuire le lettere che verranno loro inviate da’ direttori, o dagli altri impiegati delle poste, e di riscuotere da’ destinatarj l’importo segnato sopra le medesime”.
[40] R.D. n. 1534 del 25 marzo 1819, Art. 6 “I Comuni dell’interno delle Province sono serviti da’ Cancellieri Comunali per ciò che riguarda la spedizione e la distribuzione delle lettere secondo il nostro decreto de’ 10 giugno 1817”.
[41] Cfr. Titolo III Capitolo IV del Regolamento attuativo del R.D. n. 1534 del 25 marzo 1819 “Sulla diramazione delle lettere dalle Officine delle Province a’ Comuni de’ Circondarj delle Officine medesime: Sul giro, e sul servizio de’ Corrieri di posta interna”.
[42] Cfr. P. Vollmeier e V. Mancini, Storia Postale del Regno di Napoli dalle origini all’introduzione del francobollo, Vol. II, cit., pagg. 825 e 841.
[43] Salvatore D’Ambrosio, Studi sulle Cancellerie Comunali (Postali) in Terra di Lavoro, in preparazione.